ADONELLA MARENA

Dopo l’esperienza dell’insegnamento, fa parte (’83-’86) del “Gruppo Comunicazione Visiva”, atto a divulgare il cinema delle donne inedito in Italia. Da questa esperienza nasce in seguito il festival delle donne di Torino.

Realizza il suo primo cortometraggio nel ’90, Il Megalite, tratto da un racconto di E. M. Forster, che viene selezionato al festival Cinema Giovani di Torino.

Si dedica prevalentemente al documentario sociale scegliendo come soggetti privilegiati le donne ed i migranti come in:

Donne & Nica (1989), Bambine di Palestina (1990), La terza via possibile (1991), Il colore delle differenze (1992), Now Ledi (1994), Righibé a Torino (1996).

Nel 1994 vince il primo premio del Concorso Spazio Torino al Festival Cinema Giovani con Okoi e semi di zucca, storia ironica, ispirata ad un’esperienza vissuta, di quattro donne di diversa nazionalità, cuoche itineranti fantasiose e litigiose.

Nel 1996 vince al Torinofilmfestival il I° premio Spazio Italia, oltre alla menzione speciale del premio Cipputi (miglior film sul mondo del lavoro) e Comm. Pari Opportunità (Migliore regia femminile), con il film Facevo le nugatine, percorso solitario di un ex operaio nella sua vecchia fabbrica abbandonata.

Nel ’98 dirige La combattente, un docu-fiction sull’incontro tra una studentessa e un’anziana partigiana, una riflessione sulla difficoltà di trasmettere la memoria.

L’attenzione ai temi di ecologia e animalismo la portano a realizzare:

Il cascinotto(1997), l’esperienza formativa di alcuni ragazzi in un canile.

La fabbrica degli animali (1999), viaggio nell’esasperazione degli allevamenti intensivi.

Anime di città (2000), sguardo disincantato sulle convivenze in città, su ispirazione di S. Benni (II premio al Valsusafilmfest).

Mobilitebio:quando la terra è in vendita (2000), documentazione della “Seattle italiana”, la grande manifestazione di Genova contro le manipolazioni genetiche.

Tute bianche, un esercito di sognatori (2002), per la rete franco tedesca ZDF/Arte. La storia del gruppo più originale dell’antagonismo italiano (premio documentati Valsusafilmfest)

M’agradavo vioure ilamoun [mi piaceva vivere lassù] (2003) sui costi economici e ambientali dei XX giochi olimpici invernali.

Partecipa ad un film collettivo con altri dieci registi torinesi, Senza FIATo? , sulle lotte operaie alla Fiat nel novembre/dicembre ’02.

Con il film documentario NOTAV, gli indiani di Valle ( 2005 ) racconta la storia del movimento notav in Val di Susa.

Sullo stesso tema partecipa per Videocommunity a un film collettivo, Cronache a bassa velocità (2006 )

Nel 2006 monta per la CGIL SPI l’azione teatrale Non mi arrendo, non mi arrendo! un racconto di 50 donne a 60 anni dalla liberazione dal nazifascismo.

Con questo vince il premio Libero Bizzarri ’06.

Segue Non mi arrendo, i diritti, sulle conquiste del lavoro femminile nel dopoguerra.

Nel 2008, con il sostegno di FilmCommission Doc Film Fund, produce e dirige il film Il cartun d’le ribelliun ( Il carretto delle ribellioni), la storia di una marcia di 800 Km da Venaus a Roma, per incontrare e raccogliere su un carretto-riscio’ gli appelli dei cittadini contro le grandi opere.

Nel 2009, con la produzione di Legambiente Piemonte-Valle d’Aosta, realizza Libellule, un documentario naturalistico su questi straordinari insetti, e vince con esso numerosi premi in festival nazionali e internazionali.

Nel 2011 racconta con Lo sbarco, in co-regia con Dario Ferraro, l’impresa di italiani residenti all’estero, che stanchi del degrado in atto nel loro paese, partono in mille da Barcellona e sbarcano in Italia con la “nave dei diritti”. Il documentario è sostenuto dal Genova Liguria Film Commission.

Fa parte dell’associazione Villa5, per favorire la diffusione e l’incontro del lavoro di artiste italiane. E’ socia dell’associazione 100 autori.

E’ impegnata in progetti eco-animalisti nell’associazione “Vivi gli animali

Ha collaborato con Rai3, ZTF Arte, La7, Documentary in Europe, Videogruppo, Planete, Documè e le produzioni di Zenit, Stefilm, Donquixote, Filmcommission Piemonte e Liguria.

nugatineado

Un granello nell’ingranaggio

La mescolanza tra la mia storia, la politica e il desiderio creativo da origine sia al mio modo di fare cinema sia ai temi ricorrenti nei miei film.

Non ho scelto il genere narrativo, l’ho individuato lungo il percorso. Ho sperimentato la fiction, il reportage, il video didattico, il docu-fiction, il documentario creativo. Ma quest’ultimo mi è più congeniale perché mi permette di  vivere e raccontare la realtà con uno sguardo più aperto, personale e libero, e uscire dallo schema rigido di un luogo comune che riguarda il documentario, la presunta rappresentazione oggettiva, distaccata,  “scientifica” della realtà.

Il percorso è stato difficile e controverso, ma il mio retroterra di elaborazione con le donne mi ha dato chiarezza di intenti:  la riflessione del femminismo sui processi di conoscenza, di interpretazione e di rappresentazione del mondo, non più legati solo a parole come razionalità, coscienza, obiettività, ma a esperienze che inglobavano anche la propria soggettività, il proprio corpo, il linguaggio non verbale o inconscio, mi hanno aiutata a dipanare il dubbio come documentarista: cos’è sinceramente reale se non quello che posso raccontare anche col mio punto di vista e la mia sensibilità?

La soggettività non è un limite e lo sguardo delle emozioni e del desiderio non è il tradimento della realtà. Al contrario è  l’uso totale della propria testimonianza, della propria presenza nella società.

Questa elaborazione è entrata nel mio lavoro di documentarista con gioiosa consapevolezza.

Costante,  nei miei film è la propensione a dar voce, visibilità, dignità a storie che pur sembrando di “minoranza” o marginalità, riflettono aspetti inconsueti, stimolanti o anche scomodi della realtà.

Cerco di raccontare personaggi e situazioni che possano diventare granelli di sabbia negli ingranaggi di un pensiero unico dominante, perché rivelano pensieri nuovi, o conflitti nascosti, o ottusi conformismi .

Possono disturbare o smascherare.

Possono far ricordare.

Granelli di sabbia l’hanno gettati le migranti di “Okoi..”, con la loro fierezza, cultura, ironia e bellezza, ad allontanare l’immagine del migrante passivo e privo di risorse;  la combattente ottantenne, con il rigore, la curiosità e il coraggio inossidabile nel guardare la vita; i disobbedienti delle tute bianche, che smascherano la

violenza del potere con la fantasia del corpo; gli indiani valsusini, con la loro lucida determinazione e la pratica tenace di valori in disuso, come il senso del bene comune e della democrazia partecipata.

Granello di sabbia è anche lo sguardo puro e interrogante del vitello nella fabbrica degli animali, e il silenzio della montagna, violata dal fugace sogno olimpico.

Ogni film è un’esperienza speciale, spesso lunga, che mi coinvolge nel tempo con il suo carico di atmosfere, amicizie, antipatie, studio, scrittura, azioni esaltanti o grandi fatiche. Poesia o nottate al freddo.

Non è facile entrare e uscire dalle storie, alla fine non le abbandono mai del tutto, mi accompagnano confondendosi con la mia vita.